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La DE-TAX in breve PDF Print E-mail
Written by Administrator   
Wednesday, 26 January 2011
La “De-Tax”corrisponderebbe ad una “non tassa” ovvero alla disponibilità da parte dello Stato di non tassare tutto ciò che il cittadino destina ad attività di sviluppo e al “sociale”. In realtà, il problema si pone solo quando lo Stato dovesse intervenire per “agevolare” tale disponibilità, attraverso la creazione di norme di “detassazione” di quella parte di reddito così destinata. Come si può verificare, la “De-Tax” nasce dal progetto “1% - L’Impresa strumento di solidarietà internazionale” (www.unpercento.com), che consiste, essenzialmente, nella concessione di uno sconto dell’1% (o di altre entità) dell’operatore economico che fornisce beni e servizi al consumatore finale, e che concederebbe “condizionatamente alla sua destinazione” ad un progetto di solidarietà. Fin qua nessuna limitazione può essere posta dallo Stato, considerato che la concessione di sconti alla clientela rientra tra le attività comunemente usate per incentivare le vendite. La legge “quadro” 80/2003 avrebbe dovuto aprire la strada a provvedimenti capaci di prevedere un credito d’imposta, ovvero un’aliquota marginale ridotta di 3/4 punti percentuali, rapportata all’entità degli sconti, per quegli operatori che dovessero aderire agli “sconti condizionati” attratti dalla “De-Tax” (c.d. detassazione del consumo). In realtà ciò non si è concretizzato e le difficoltà di adesione massiccia al progetto permangono, come ha potuto già preventivare la Commissione Europea in uno studio del 2002. Fintantoché gli Stati non comprenderanno appieno il loro ruolo propositivo nella sussidiarietà, difficilmente potranno essere raccolti risultati positivi per la soluzione dei problemi collegati allo sviluppo, alla fame nel mondo e alla crescente disuguaglianza tra ricchi e poveri. Certamente, comunque, nelle discussioni e documentazioni parlamentari che hanno fatto seguito all’iniziativa del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro dell’Economia e delle Finanze nel 2001, è stato trattato il tema dell’Etica nell’Economia e nel mondo della finanza e dei tributi, favorendo la presa di coscienza di parlamentari, di addetti ai lavori e di semplici cittadini. Fin dall’inizio (agosto/settembre 2001, quando veniva chiamata A/tax – De/tax) la proposta, sottoposta al vaglio delle autorità europee e positivamente accolta, ha trovato oppositori specialmente da parte di coloro che erano favorevoli all’introduzione della “Tobin-Tax”. In realtà, se pure si tratta di due concezioni diverse di intendere, l’intervento o il non intervento dello Stato (e ciò potrebbe giustificare legittime contrapposizioni), le due proposte possono coesistere perché la “De-Tax” costituirebbe un metodo per “agevolare un mercato virtuoso” mentre la “Tobin-Tax” costituirebbe un metodo per “limitare il mercato vizioso”. Mentre la “Tobin-Tax” realizzerebbe l’obiettivo di tassare i trasferimenti speculativi di capitali, degli operatori internazionali, per favorire la redistribuzione di ricchezza verso i PVS, la “De-Tax” potrebbe realizzare l’obiettivo di “rendere coscienti” tutti i consumatori del loro “dovere” di aiuto verso coloro che sono in condizioni disagiate. Coloro che sono più preparati su problematiche collegate allo sviluppo compatibile conoscono ciò che ha insegnato la storia; il solo trasferimento di ricchezza, generalmente produce maggiore povertà. Con la “De-Tax” si potrebbe coinvolgere il mondo dell’impresa che, per definizione, è il mondo a cui compete il “dovere” dello sviluppo, creando anche le condizioni per una corretta distribuzione e utilizzazione delle risorse. La disponibilità “connaturata” di tutti gli operatori del “terzo settore”, come legittima espressione di una società civile che si ritrova nella solidarietà per l’attenzione ai più deboli ed indifesi, può certamente trasformare la “De-Tax” in uno straordinario strumento di accoglienza, rispetto, fiducia ed attesa per una società del domani più giusta, più fautrice pace e in grado di “globalizzare la solidarietà”.